il nostro scopo

Davide è un ragazzo come tanti, come tutti: ha sogni e voglia di vivere… Anche ora che è costretto a correre su una sedia a rotelle.

Il 17 novembre 2019, a soli 15 anni, subisce un gravissimo incidente durante una partita di Hockey, il suo amato sport. Da allora per lui e per tutti noi è iniziato un nuovo percorso di vita. Quell’episodio, infatti, ha segnato un nuovo punto di partenza per nuove speranze e nuove ambizioni. È passato del tempo dall’incidente, ma le fatiche quotidiane, così come le nuove sfide non sono terminate.

Con il desiderio di consentire a Davide di guardare serenamente al futuro, è nato il “Comitato per Davide Dell’Oca”. Il nostro obiettivo non è solo quello di rinvenire fondi per sostenere in maniera concreta le molteplici nuove esigenze insorte dalla sua condizione, ma anche di lasciare un segno a tutti quelli che, come Davide, hanno subito, senza volerlo e senza colpa, un incidente capace di paralizzare il corpo ma non lo spirito e le ambizioni.

Il Comitato ha così anche l’obiettivo di supportare iniziative socio-culturali volte a sensibilizzare famiglie, giovani ed adulti alla realtà della disabilità ed allo stesso modo sostenere, chi come Davide, vive una situazione simile. La storia di Davide è diventata la nostra storia. La sua è una storia che cambia, ma che non si ferma. Aiutiamolo a segnare ancora… segnando insieme!

Su di me

“Ciao, grazie per esserti ritagliato un momento per conoscermi.
Non so come tu sia arrivato fino a qui, se per passaparola o perché ci conosciamo di persona. In entrambi i casi, con queste poche righe mi racconto, o almeno, vi racconto un po’ di me – cosí da instaurare un nuovo rapporto o approfondirlo, in base al caso.

Sono giovane, ho compiuto da poco 18 anni, maggiorenne, un nuovo
capitolo della vita. O almeno così mi hanno detto. Ci sono così tante cose da poter condividere: la partita dell’incidente, la mia vita prima, la mia degenza in ospedale e la pandemia da Covid-19, la mia uscita, gli ultimi anni di superiori, la vita che sto cercando di riprendermi, “le scelte della vita” e le mie difficoltà.
Se non mi fossi fatto male probabilmente non mi avresti mai notato, sarei stato uno tra gli altri. E invece… Ora è difficile ignorare gli sguardi di chi mi fissa, come se non avessero mai visto un ragazzo in carrozzina prendere un treno, fare un passaggio dal sedile della macchina alla carrozzina, mangiare un gelato o prendere un aperitivo. Lo posso capire, all’inizio ero anche io così. Si tratta di un mondo nuovo, che non consideri realmente fino a che non ‘ti tocca’ o conosci qualcuno a cui ‘è toccato’. La prospettiva cambia radicalmente.

Ho sempre amato lo sport, fin da piccolo correvo a dritta e a manca, cercavo di saltare le scale dal gradino più alto – si, forse non è corretto farlo rientrare tra gli sport, ma vi assicuro che a 6 anni saltare 7 gradini è un record, dovrebbe rientrare negli sport olimpici categorie baby- e poi c’è stato l’hockey.
Sarò sincero, la passione per l’hockey è sbocciata cammin facendo.
Nessuno in famiglia aveva mai giocato a hockey su ghiaccio e io non avevo mai pattinato prima. Così a 9 anni, su proposta di mia mamma mi ritrovai con i pattini ai piedi: l’inizio della mia carriera da portiere nel mini hockey. Crescendo volevo cambiare ruolo, ho sempre voluto diventare un attaccante, e dopo un periodo da difensore, così è stato.
Giocavo proprio in attacco il 17 novembre 2019. Esatto, il giorno in cui la mia vita si è fermata, o almeno parte di essa.
Si, l’hockey è considerato uno sport fisico, tant’è che rientra tra quelli estremi: spinte, cariche e cadute non mancano, ma questa… questa è stata violenta, rapida e improvvisa. Una ghigliottina.
Ricordo che gli aiuti arrivarono subito, mi fecero qualche domanda per capire se ero vigile e si assicurarono che le funzioni vitali non fossero compromesse, però non riuscivo più a muovermi. Mi misero su una barella e fui portato all’Ospedale Civico di Lugano; lì mi fecero l’operazione di stabilizzazione al rachide cervicale. Il mio ricovero in terapia intensiva a Lugano durò circa due settimane. In quel periodo ebbi la vicinanza di tutti: la mia famiglia, gli amici, i compagni di squadra, il personale dell’ospedale…

Appena la mia situazione migliorò fui trasferito all’Ospedale Niguarda di Milano. Il primo periodo non fu dei migliori, avevo perso una ventina di chili e stavo facendo davvero fatica a riprenderli.
Per fortuna, seppur lentamente, ho iniziato un progressivo miglioramento. Con l’assistenza di chi mi sta accanto, necessariamente, ho imparato nuovamente a
mangiare e bere almeno parzialmente da solo e a stare seduto per più tempo.Sembrano banalitá, ma la mia nuova condizione comporta la paralisi dei quattro arti e del tronco.

Poi… Beh, arrivò la novità, l’ondata di Covid. Prima della pandemia molte persone venivano a trovarmi, sentii da subito la loro mancanza. Certo, tentammo di portare avanti le relazioni per telefono, ma non fu la stessa cosa. Con me però rimase mia sorella Rachele ed in qualche modo siamo riusciti a cavarcela; lei lavorando alla tesi ed io impegnandomi in palestra.
In totale rimasi nell’Unita’ Spinale di Milano per nove mesi e una volta dimesso tornai a casa. La trovai sottosopra: non erano ancora finiti i lavori per renderla adatta alle mie nuove esigenze, accessibile.
È stato difficile abituarmici, ma non ero solo. La mia famiglia, papà, mamma e i fratelli mi hanno da subito aiutato nelle nuove sfide quotidiane personali e sociali.

Ora mi rendo conto che queste mie sfide stanno mutando in forma e difficoltà, tuttavia non voglio siano un freno o un ostacolo invalicabile. A volte è tutto difficile e il futuro incerto mi fa paura, mi mette molti dubbi e timori. Però sono fortunato, non sono solo, ed è per questo che sono determinato e desideroso di vedere cosa la vita ha ancora in serbo per me!

Da qui, da questa storia di vita, come puoi ben immaginare, è nato il ‘Comitato per Davide Dell’Oca’.

Grazie mille per avermi letto e per il supporto che vorrai darmi e darci!

A presto,

Davide

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